Dopo Altro giro, altra corsa di Iginio De Luca, si inaugura giovedì 9 luglio in diretta alle ore 19.00 sul canale Facebook di Flashback – @flashbackfair – Viva questo mondo di merda di Serena Fineschi, il terzo manifesto della quinta edizione di Opera Viva Barriera di Milano, progetto ideato da Alessandro Bulgini, curato da Christian Caliandro e sostenuto dalla fiera Flashback, l’arte è tutta contemporanea. Che quest’anno ha scelto per il suo ottavo appuntamento il tema Ludens, ispirato al racconto di fantascienza La variante dell’Unicorno di Roger Zelazny e all’opera di Johan Huizinga. Il gioco dunque come fondamento della vita umana e della creatività, come approccio fondamentale per la ricostruzione continua del mondo e come base per l’arte e la cultura; il gioco come attività sacra.
Serena Fineschi: il tatuaggio
L’immagine realizzata dall’artista è la fotografia di una piccola porzione della sua stessa pelle, su cui è stata appositamente per questa occasione tatuata una frase (tratta da un lavoro del 2011) che è al tempo stesso una dichiarazione di intenti e un inno d’amore. Come afferma Fineschi: “Inutile contestare che il dolore autoinflitto, quel piacere oscuro, cinico e distorto sia l’origine delle nostre sofferenze, che sputiamo e vomitiamo in faccia al mondo. Il corpo parla, e l’opera non è un corpo estraneo al corpo dell’artista. Il corpo chiede, chiede di continuo”.
L’amore per il corpo malato
Proprio quel corpo individuale e collettivo dunque che è stato sottoposto di recente, durante le settimane del lockdown, a una dura prova, ritorna prepotentemente al centro dell’attenzione (è infatti il tema principale della riflessione di alcuni dei più significativi pensatori contemporanei, da Michel Foucault a Donna Haraway a Paul B. Preciado), e diventa il territorio e il mezzo del messaggio artistico: “Amiamo il corpo malato. Amiamo le cicatrici e i morsi lasciati sulla pelle dalle ferite. Amiamo il corpo anziano, segnato dal tempo, raggrinzito dal sole, pieno di ricordi. Amiamo il corpo lento. Amiamo l’imperfezione e lo squilibrio (…). Amiamo il vero corpo, fragile e vulnerabile, e non il corpo ideale e tirannico della norma. Amiamo il corpo poetico, perché il linguaggio è solo uno degli organi astratti del corpo vivo” (Paul B. Preciado, Inno al corpo, «Internazionale», 20 giugno 2020).
L’amore per la vita
La frase tatuata sulla pelle di Serena, ed esposta sul manifesto 6×3, è in realtà tenera e commovente: significa che, nonostante siamo perfettamente consapevoli dei problemi e delle crisi che attraversano il mondo contemporaneo, nonostante le società occidentali stiano mostrando tutte le loro crepe (che il virus ha ampliato e reso ancora più visibili), nonostante tutto questo e proprio per questo non rinunciamo a dichiarare a gran voce il nostro amore per la vita e tutta l’incoscienza, la sfrenatezza e la passione per l’imprevisto che ci vogliono per affrontarla. Per sentirsi ed essere davvero vivi, oggi.
La vita di Serena Fineschi
Serena Fineschi vive e lavora tra Siena e Bruxelles. Il suo lavoro, espresso con diversi media, si concentra sull’importanza dei legami tra gli esseri umani, e riflette in modo particolare anche sulle trasformazioni che tali legami, e il loro mutare, producono. È tra i fondatori e gli ideatori di progetti che coinvolgono diversi artisti e curatori, tra cui l’itinerante Grand Hotel e FONDACO. Nel 2016 ha ideato CAVEAU, una cassaforte incassata tra le mura medioevali della città di Siena, che ha dato origine a una mostra realizzata nel 2017 presso il complesso museale di Santa Maria della Scala. Tra le mostre e i progetti più recenti si ricordano: la residenza annuale a Bruxelles (Belgio) presso la Collezione Frédéric de Goldschmidt, nel programma Artiste Domicilié(e) a cura della Galleria FuoriCampo; le mostre personali “After the Party”, Montoro12 Contemporary Art, Bruxelles (2018); “Stato di Grazia”, Brick Centro per la Ricerca e la Cultura Contemporanea, Siena (2014); tra le mostre collettive, “Border Crossing”, evento collaterale in Manifesta12, Palermo (2018); “White Covers”, Frédéric de Golschmidt collection, Bruxelles (2017).
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